Taccuino in tasca, penna sempre in mano e suole delle scarpe consumate a furia di macinare chilometri a piedi, a caccia di scoop e di storie da raccontare.

Quella del giornalista, in passato, era considerata la professione “romantica” per eccellenza, quella da sviscerare nelle trame dei film e da celebrare nelle serie televisive. Il reporter veniva visto come un privilegiato, un elitario; il giornalista era il depositario della “Notizia”, della “Verità”.

L’uscita del proprio quotidiano di fiducia veniva attesa con concitazione, non parliamo poi di quella del periodico locale: cos’è successo in città? Cosa farà il Sindaco? Chi è stato arrestato dalla Polizia? Oggi tutto è notizia e tutti siamo giornalisti.

La rivoluzione digitale ci ha catapultati in un'overdose di informazioni, in una smania comunicativa in cui scrivere su social e blog è sinonimo di “esserci”.

Ciascuno vuole far sentire la propria “voce”, essere rilevante.

Ed è proprio in questa frenesia di nozioni che il professionista dovrebbe, anzi, deve, distinguersi. Andare oltre. Riuscire a capire cosa faccia notizia e cosa valga la pena comunicare. Mai come nel 2018 vale il detto “non importa la quantità, ma la qualità”.

 

Facile a dirsi probabilmente, meno a farsi.

Il motivo? Perché di “giornalisti” è pieno il mondo, pagati pochi centesimi (o meglio, millesimi) a battuta e valutati non per cosa scrivono, ma proprio per quante sillabe pigiano sulla tastiera. “Devi inserire almeno dieci pezzi al giorno sul sito altrimenti ti sostituisco”; poco importa se in quel portale si faccia menzione del gattino salvato dai Vigili del Fuoco o dell’inchiesta sul nuovo piano regolatore urbano.

Da qui, poi, la necessità di sfornare in modo rapido le notizie e quindi le correlata giustificazione ad utilizzare in modo massiccio gli amati “Ctrl C e V” da Facebook talvolta senza nemmeno controllare la fonte del post. Idem dicasi per le fotografie: se ci sono sulla creatura di Zuckerberg allora siamo a cavallo altrimenti ne faremo a meno.

Le redazioni? Solo nei pochi colossi editoriali rimasti, nelle piccole realtà i redattori quando si è fortunati sono due ed il resto della produzione seriale è dato da un esercito di collaboratori free lance stipendiati a ritenuta d’acconto o a partita iva per i coraggiosi. 

Ujce, Unione Giornalisti e Comunicatori Europei, rappresenta quindi un bisogno, una boccata d’ossigeno in un’atmosfera informativa rarefatta dallo smog. Un gruppo di professionisti che condivide dichiaratamente valori transnazionali e che punta a quella famosa qualità della notizia, all’approfondimento, alla garanzia della news data da un percorso professionale certificato.

In questo "mondo" il freelance torna ad essere il depositario della verità nel senso assoluto del termine. Ujce è una grande redazione in cui un giornalista non rappresenta un numero, ma un valore e si sente meno solo. Ogni individuo ha una responsabilità individuale, una responsabilità morale, etica ma si confronta con gli altri in un ambiente Unico.

Se è vero che un giornalista è tenuto ad informare lo stesso vale per il comunicatore.

L’avvento dei nuovi mezzi messi a disposizione dal web ha dato il via ad un esercito di esperti in comunicazione.

Ujce rappresenta una garanzia anche in questo senso. Gli associati all’Unione Giornalisti e Comunicatori Europei sono professionisti della Communication technology che non perdono mai di vista la verità della narrazione.

Oggi la storia di un'azienda, il resoconto di un evento devono partire da un assunto giornalistico: a monte del marketing ci saranno sempre il "chi sono" e il "cosa faccio" all'insegna della veridicità.

Michela Trada